Tempo e Contenuto: il Ruolo della Visione nelle tecnologie attuali

La qualità della visione e il punto di vista dello spettatore diventano elementi fondamentali. Una certa estetica della definizione si afferma nel mondo televisivo solo nel 2005 con la diffusione degli schermi piatti, di grandi dimensioni.

Se in passato ci basavamo sul tempo (anche per i prodotti televisivi) oggi siamo ormai abituati a tipologie di prodotti completamente modificabili ed editabili che hanno sempre a che fare con la visione e l’estetica. Non ci troviamo più in una situazione televisiva time-based, basata sul tempo, ma possiamo quindi considerarci in una realtà composition-based e object-oriented. Si sta più attenti al contenuto e meno alla tempistica e al valore di tempo. Ci si orienta verso il modo in cui il contenuto è sviluppato e creato, e non si pensa tanto alla sua utilità nel tempo e, quindi, cronologica.

User Generated Content e Social Networking

Per contenuto generato dagli utenti (dall’inglese user-generated content; sigla UGC) si intende qualsiasi tipo di contenuto – come ad esempio: post nei blog, contributi a wiki, discussioni nei forum, post nei social network e tweet, podcast e altri tipi di file audio, immagini e video digitali – creato dagli utenti e pubblicato in Rete, spesso reso fruibile tramite le piattaforme di social networking.[1] Questo fenomeno è visto come un sintomo della democratizzazione della produzione di contenuti multimediali reso possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici e a basso costo.

Lo user generated content, il contenuto generato dagli utent, è creato dal basso. un ecosistema mediale è un universo mediale (es. una serie e telefilm tipo star wars o star trek) che resiste al tempo e allo spazio per il grande livello di dettaglio su cui è costruito.

Chi produce contenuti deve inevitabilmente confrontarsi con tutti i media digitali oggi esistenti. E chi studia questi media? sociologi della cultura e della comunicazione, storici dei media e storici (che si interessano alla storia contemporanea), storici dell’arte, psicologi dell’audiovisivo e cyberpsicologi (che effettuano principalmente analisi dei social network), psicologi cognitivisti, informatici, web designer, semiotici, ingegneri informatici, linguisti e glottologi, architetti dell’informazione, user experience designer, filosofi, critici, economisti dei media, designer (di vario tipo, anche generici), produttori, registi, sceneggiatori, fotografi, Media e SEO strategist, Esperti di copywriting. Insomma, praticamente tutti!

Fotografia e video breve sono stati fondamentali per lo sviluppo del web 2.0, ma la loro funzione e utilità potrebbe diversificarsi in futuro. Dopotutto, non è detto che concetti di rapidità e concisione – almeno per come li interpretiamo oggi – mantengano in futuro l’importanza che hanno oggi per la società.
I social network dipendono molto dagli studi e dalle materie esplicate nei game studies e dalle attività ludiche; da queste ultime i social network prendono spunto, spesso ricalcandone le logiche e le dinamiche. Perché? perché i videogiochi sono il maggior passatempo che attrae utenti nella rete. E questo ci ricorda nuovamente quanto le culture dal basso siano le più importanti per gli sviluppatori e gli ideatori del web: la popolazione che crea attivamente e produce contenuti è detta “grassroot”.

Cliente indeciso? Come costruire un prodotto digitale su misura

Mi viene spesso chiesto “David, come si fa a capire cosa il cliente vuole, e quindi costruire un prodotto esattamente cucito su di lui se il cliente spesso – 99% delle volte – non sa quello che vuole?“. A me piace rispondere: Dipende 🙂

Nel caso in cui il cliente non è molto chiaro o non sa esattamente ciò che vuole oppure trova difficoltà nello spiegarsi bene, questo è qualche indizio che posso darti:

Ci sono due aspetti di base a cui devi prestare attenzione e – secondo me – non devi mai perdere di vista:

(1) cosa LUI desidera. Su questo punto, risolvi facendo domande più mirate possibile (in quantità industriale!);

(2) come TU e LUI state comunicando in ogni fase del progetto. Devi sempre assicurarti di avere la CONFERMA , da parte del cliente, di aver esaurientemente risposto ad una sua domanda, o tu, di aver interpretato la sua richiesta.  Un’idea abbastanza semplice che posso darti a questo riguardo è: proponi al cliente di consultare e visionare servizi o applicazioni che svolgano un compito specifico, così da poter avere riscontro diretto se ci siamo intesi correttamente sull’argomento di cui parliamo.

Nella maggior parte delle volte, con un pò di pazienza, avremo un cliente soddisfatto e noi saremo in grado di “leggere” al meglio le richieste che ci vengono avanzate. A volte, il cliente, scopre un’applicazione che fa proprio al caso suo – o magari rispecchia la sua idea di cosa dovrebbe fare il suo prodotto, e quindi ci indirizza anche con valutazioni e indicazioni preziose per quello che sarà poi il nostro piano d’azione e il corpus di funzionalità da includere in un progetto. Nel 99% dei casi, proseguendo in questo modo, avremo un’idea abbastanza definita di cosa il cliente si aspetta e sarà lui stesso a farci capire, con serenità, che possiamo proseguire nel raffinamento dell’idea e della nostra proposta. Ogni esperienza di interfacciamento e confronto con il cliente sarà un tassello importante per la nostra crescita professionale, perché ci permette di perfezionare il nostro modus operandi e la nostra “impostazione” comunicativa, lavorativa e di supporto a quelle che sono le sue richieste nel breve e nel lungo termine. Fai tante domande, tantissime domande, generali e specifiche, su vari fronti. Questo trasformerà la tua consulenza in un momento di “brainstorming” da cui entrambi avete da imparare e il cliente non solo trarrà beneficio – perché saprà esprimersi meglio e si sentirà capito… e non si sentirà “giudicato” da te perché non conosce molto bene il gergo tecnico con cui gli spieghi alcuni particolari – ma riuscirà ad avvicinarsi a te, capendo di potersi fidare, e da qui costruire, con solide basi, un rapporto collaborativo e fruttuoso.

Dobbiamo farci interpreti e realizzatori dei sogni dei nostri clienti. Relativamente ai risultati che emergono dalle analisi che eseguiamo sui pareri e le richieste dei clienti, cerchiamo di costruire un ecosistema-struttura di conoscenze e di lavoro che ci permetta di gestire facilmente i progetti e prodotti da noi ideati, modificarli e mantenerli con uno sforzo che sia quanto più lieve possibile. Impariamo anche a categorizzare le tipologie di risultati che estraiamo dai test che effettuiamo. Ci saranno delle metriche e delle categorie di dati che dovremo considerare prioritarie rispetto ad altre. Disegnare per le persone è molto semplice, almeno a livello concettuale: pensare, progettare e lavorare proattivamente può sembrare molto lavoro.. ma in realtà risparmiamo tempo, frustrazione nostra e del cliente se qualcosa non funziona al meglio, risparmiamo minuti preziosi del nostro tempo e permettiamo al cliente di poter considerare il suo un investimento, e mai una spesa.

L’approccio agile, con una filiera quanto più snella possibile, ci permette di essere tanto vicini all’utente da poter sviluppare, testare e correggere un prodotto in sua compagnia, e al suo fianco. Il cliente, nell’approccio agile, non resta spettatore passivo ma diventa soggetto, regista e attore del suo prodotto. Il nostro lavoro è quello di fornire all’utente servizi rispettosi e discreti, che siano qualitativamente migliorabili direttamente dal nostro cliente.

Cosa è lo UCD e come diventare User Centered Designer

Ci sono tanti modi diversi di considerare il design. C’è chi lo considera la parte attraente di un prodotto o un’interfaccia; c’è chi lo considera la chiave dell’innovazione; e ci siamo noi, che lo vediamo come uno dei  tanti aspetti che compongono prodotti che generano benefici per le aziende, i loro clienti e la società in generale.

Certo, piacevolezza estetica e innovatività sono aspetti importanti oggi, termini estremamente inflazionati nella cultura digitale odierna. Ma cosa, meglio dei benefici, comunica la qualità dei prodotti e servizi che il designer concepisce, progetta e realizza? Concepire e realizzare un prodotto è istruttivo e formativo per il designer, perché questa ricerca del beneficio lo costringe a mettersi in discussione e considerarsi responsabile del modo in cui i futuri fruitori del servizio si troveranno. Da bravi designer, consideriamoci responsabili del modo in cui un servizio sarà esperito dalle persone; consideriamoci responsabili per le emozioni che le persone proveranno. Siamo qui per apportare un cambiamento – auspicabilmente positivo – nelle vite delle persone che usufruiranno di un nostro prodotto o servizio; e questo basta a comunicarci quale importanza possa oggi assumere lo User Centered Approach (o UCD) nel panorama commerciale.

Il nostro imperativo? Che il nostro design lavori in funzione delle persone, e non viceversa! Consideriamo importante il look – estetica, visual design, graphic design, piacevolezza del prodotto o del servizio – ma ancor più importante è innescare emozioni e sensazioni positive nell’utente finale; il nostro prodotto deve saper attrarre, ispirare, guidare la persona nel compimento di determinati step e azioni. In questo, il nostro ruolo è quello di “ragionatori”, di protendere verso un design ragionato, che porti in sé la sua ragione d’essere.

Oltre all’aspetto visivo, il nostro design agisce in sinergia con l’aspetto funzionale del prodotto: l’impiego di qualsiasi tecnologia, piattaforma, CMS, framework che sia, può contribuire ad avvalorare la qualità del nostro prodotto ed esaltarne le – auspicabilmente numerose – qualità, se ci si muove con un occhio di riguardo per le esigenze del cliente.

I bisogni e le esigenze dell’utente finale, che preferiamo chiamare Persona, ci guidano nell’ideazione, nella progettazione e nella costruzione di interfacce in cui design e funzionalità coesistono efficacemente e in cui il primo aspetto non può considerarsi scindibile dall’altro. Questo è il nostro modo di lavorare, e si basa sullo User Centered Design, il Design centrato sui bisogni dell’Utente. Il Designer che muove i propri passi secondo quest’ottica considera look, funzionalità e innovazione e utente come ingredienti della stessa ricetta.

Il risultato è energico, potente, affascinante ma semplice. Colui che lo realizza è un professionista abile,  capace; figura professionale completa perché doverosamente multidisciplinare, valida nel suo approccio più imparziale possibile e capace di garantire una qualità, di cui la soddisfazione del cliente è sempre il criterio di valutazione più importante.

Lo User Centered Designer non lavora solo necessariamente ex novo: può migliorare prodotti in precedenza rilasciati sul mercato e considerati leggermente fallati – perché richiedono correzioni nell’usabilità, nella accessibilità, nelle funzionalità e nel look estetico o nella comunicazione all’utente. Insomma, rende competitivo un prodotto o servizio che prima non lo era.

E come ogni esperto che si rispetti, anche lo user centered designer ha i suoi segreti! Segreti con cui lui fa del proprio meglio, agendo con consapevolezza, tatto e imparzialità, nelle situazioni più o meno delicate del commercio o in momenti più o meno critici della filiera produttiva di un prodotto o servizio. Non esistono esperti migliori o peggiori, ma solo persone che hanno sviluppato più o meno intensamente capacità e competenze in linea con i propri talenti, nel rispetto delle proprie inclinazioni e tendenze individuali. Il lavoro di user centered designer ci insegna a confrontarci con le persone, capire le loro esigenze, conoscere e studiare le persone, apprezzare ciò che le rende tali: clienti, amici, committenti e utenti sono sempre persone
importanti per noi, perché da chiunque possiamo imparare ad operare con maggior efficacia, efficienza e adeguatezza.

I segreti sono tratti dal testo User Centered Design di David Travis, che potete trovare cliccando questo link.

SEGRETO 1
Il primo segreto dello user centered designer è un segreto spendibile in qualsiasi aspetto della nostra vita e non esclusivamente utile nel lavoro: la capacità di concentrarsi. La concentrazione, il cosiddetto “focus”, ha a che fare con una percezione che la persona (in questo caso lo UX Designer o lo User Centered Designer) ha relativamente al progetto; cerca, cioè, di focalizzarsi subito sugli utenti e sui task (cioè i “compiti”) che questi utenti devono compiere durante l’uso del prodotto. Innanzitutto dobbiamo capire quali sono i nostri utenti tipo; dobbiamo conoscerli. Focalizzarci sull’utente ci permette di disegnare per le persone. Se io disegno per le persone, ovviamente, devo tener conto di cosa vogliono raggiungere con l’utilizzo di un programma; quale risultato cercano di raggiungere nel più breve tempo possibile? dovremo conoscere sempre l’utente tipo per cui stiamo disegnando; focalizzarci su una tipologia di utenza ben definita ci permette di trovare e raccogliere molto velocemente e agevolmente dati empirici con cui possiamo integrare le nostre idee in merito al progetto e le metriche finora raccolte. Soprattutto, non supponiamo mai senza prima aver verificato. Mai supporre qualcosa di cui non abbiamo avuto riscontro diretto con dati.

Nel caso di un’applicazione, ad esempio, dovremo conoscere più a fondo possibile il cliente: come effettua le sue ricerche, capire in quale contesto e situazione effettua la navigazione di un sito o l’ordine di un prodotto tramite l’app; capire in quale situazione è più propenso ad effettuare un acquisto – e perlomeno supporre perché, finché non lo si scopre empiricamente – ; capire in quale orario e in quale circostanza l’applicazione viene utilizzata con maggior assiduità e frequenza; quali notizie o quali prodotti generano tendenzialmente più commenti e quali, invece, risultano inosservati; capire quali sono i compiti più critici, rilevanti e importanti che il nostro utente tipo deve compiere e svolgere. Il processo di delineare e profilare adeguatamente gli utenti reali e verosimili si avvicina, in parte, al lavoro che gli User Experience Designer e gli Architetti dell’Informazione compiono avvalendosi di Personas. Le personas rappresentano varie tipologie di utenza di un prodotto o servizio e aiutano il processo di sviluppo, perché favoriscono il focus sui bisogni reali di questi utenti tipo.

SEGRETO 2
Il secondo segreto è la misurazione empirica dei comportamenti dell’utente: il design, dovendo essere efficace, efficiente e soddisfacente, ci obbliga a misurare i comportamenti degli utenti cercando di capire perché l’utente sbaglia, incontra degli errori; in quali punti del flusso di navigazione del prodotto l’utente si sente insicuro o tende a fermarsi; quali sono le motivazioni di questa insicurezza o di questi blocchi; bisogna capire se le cause sono da individuarsi nel design, nelle funzionalità o in una comunicazione poco efficace; individuate tali cause, basterà valutare e proporre soluzioni alternative che – in linea con le possibilità della piattaforma digitale – permettano di aggirare quello che precedentemente era un ostacolo; bisognerà valutare eventuali accorgimenti visivi o comunicativi che possano migliorare l’esperienza del prodotto o del servizio. Capire se le funzionalità sono da modificare o se nell’implementarle, bisogna trovare plugin o modalità diverse con cui erogarle. Mettiamoci nei panni degli altri e immaginiamo di usare per la prima volta il nostro prodotto o servizio, e passiamo in rassegna, piano piano annotandole ed individuando una soluzione per ogni problematica emersa… e avremo finalmente un prodotto migliore!

SEGRETO 3
Il terzo segreto è disegnare in modo iterativo: cosa significa? il nostro design, dopo aver raccolto e identificato dati e personas ed effettuato test, lo miglioriamo in modo graduale ma sistemico, che sia facilmente mantenibile nel lungo termine e che in futuro sia possibile ampliare, ridurre o personalizzare funzionalità con il minimo sforzo possibile. Disegnare iterativamente un’interfaccia, ad esempio, ci permette di applicare con facilità modifiche più o meno profonde alla versione di partenza. Cosa rientra nel design iterativo? commentare esaurientemente il codice, così che chiunque possa intervenire in futuro sia in grado di effettuare modifiche senza dover perdere troppo tempo studiando la struttura del prodotto.

Buon Giornalismo? (Forse) Tutta Questione di Domande

In un’intervista per il Premio d’Informazione mi era stato chiesto “Quanta distanza c’è tra il mondo mediatico e la realtà che vivi?”.

Oggi, dopo la ricca e positiva esperienza maturata a fianco di molte persone competenti nel viaggio del Premio, invece sono io a chiedere: fino a che punto è giusto spingersi, per il giornalista, nella costruzione di realtà fittizie-narrative? Esiste un limite oltre cui un punto di vista possa perdere la sua oggettività e diventare fazioso? E, in ultima analisi, con quali possibilità e probabilità la quantità d’informazione prodotta oggi in merito a qualsiasi accadimento “sensibile” (ad esempio la notizia di un attacco terroristico) può agire da copertura per questioni molto delicate e che non devono essere sollevate troppo esplicitamente dalla stampa?

Ogni realtà mediatica si fa portatrice di una diversa lente attraverso cui si osserva il mondo. Questa lente la definiamo comunemente con il termine “frame”, (trad. cornice): è questa la cornice secondo cui i giornalisti interpretano le notizie e della cui “vera” cornice spesso non si rendono neanche conto poiché concentrati su piccoli dettagli di un evento, magari giudicati più notiziabili e di più forte impatto sul pubblico. Un comportamento, forse,  proposta e definita anche dalla posizione politica di una testata. Nella cronaca giornalistica, c’è da chiedersi se questo frame possa essere manipolato e se questa eventuale manipolazione è volontaria o involontaria. Ma perché disturbarsi tanto?

Perché adattare un’informazione alle esigenze del frame, così da alimentarlo per generare più visite o impressionare maggiormente un’audience, significa  scoraggiare la riflessione del fruitore sull’informazione in favore di un reagire impulsivo ed emotivo fine a sé stesso. Questo amplifica soltanto la natura del contesto in cui questa informazione è inserita (pensiamo, per fare un esempio, all’allarmismo che si crea intorno a fatti inizialmente imputati a cause di terrorismo); si finisce solo per catalizzare tante reazioni (spesso negative), senza puntare a fini più elevati come informare e informare in modo non vizioso. Da giornalisti, si perde lucidità e onestà intellettuale in favore della notiziabilità di un fatto; da lettori, si viene “strattonati”, senza la possibilità di raggiungere soluzioni ad un determinato problema. Di questi effetti collaterali dell’informazione abbiamo anche parlato in un articolo inerente la notiziabilità della cronaca nera, anche presente su questo blog.

Per informare in modo quanto più oggettivo e disinteressato possibile, se da un lato l’importanza di riscuotere attenzione è molto allettante, dall’altro non dovrebbe trarre in inganno il giudizio del giornalista, che dovrebbe cercare di mantenersi quanto più intellettualmente onesto nei confronti della realtà che sta descrivendo.

Proprio in virtù dell’esperienza maturata nel Comitato Organizzatore del Premio d’Informazione Articolo 11, sono giunto alla conclusione che, prima di riflettere sulla qualità dell’informazione, come persone comuni potremmo cercare di riflettere sulla sua quantità. Molti, ad esempio, si chiedono: nell’informarsi è preferibile eccedere o limitarsi? È preferibile conoscere quanti più retroscena possibile o accontentarsi di una narrazione veloce o superficiale? Come lettori e fruitori di un’informazione sempre più presente nella nostra vita quotidiana, giungere a risposte significative diventa possibile se ci poniamo domande. Solo tramite un po’ di sani dubbi che potremmo essere in grado di poter intravedere un modo nuovo di fare e consumare informazione, raggiungendo questo scopo.

Dalle Stragi al Pensiero Giornalistico, passando dal Premio d’Informazione Articolo 11

In seguito alle molte vicende (stragi, allarmi bomba ecc) che si sono susseguite in questi giorni e sono state raccontate in modo piuttosto “confusionario” (per non parlare delle narrazioni confuse dei tuttologi di Facebook), mi ha colpito un trend che ho notato emergere in alcuni servizi televisivi. Alcuni giornalisti hanno terminato i loro servizi con una specie di “sequenza” che diceva più o meno così: “sarà (ciò che c’è da raccontare in questo periodo) una sfida per il giornalista che deve informare senza causare allarmismi, moderando il panico che questa febbrile pioggia mediatica sta scatenando”.

Constatare che i giornalisti parlino apertamente del proprio ruolo e di quello del giornalismo significa che si è arrivati ad un punto di riflessione verso cui ancora – così chiaramente – che io ricordi, non ci si era spinti relativamente al ruolo del giornalismo e della narrazione della realtà, che poi è strettamente legata all’emotività della popolazione di un Paese. Poi che si sottintende, almeno a mio avviso, ad una responsabilità da cui il giornalista non può sottrarsi.

Ai due punti di cui sopra credo il Premio abbia contribuito molto e stia contribuendo tuttora – e nella sua prossima “edizione” sarà ancor più efficace ed incisivo, perché se trend simili costituiranno sempre più spesso l’ordine del giorno. Ho piena fiducia nel valore e nel ruolo che la nostra iniziativa può acquisire con il maturare del tempo! Grazie a tutte e a tutti per essere a bordo!

Effetti Collaterali della Cronaca Nera – International Journalism Festival – IJF2016

Come Premio d’informazione, siamo interessati a capire quali dinamiche economiche e sociali si inneschino al sorgere di fenomeni di cronaca nera in un dato luogo e come queste dinamiche potenzialmente vadano ad incidere sulla vita delle persone. Con l’hashtag #uncuoreinformato, non potevamo non essere incuriositi dal discussion panel della decima edizione del Festival del Giornalismo di Perugia intitolato “Cronaca nera: Effetti collaterali“. L’incontro è stato estremamente interessante, a partire dai partecipanti al dibattito: Lucia Annunziata direttore de L’Huffington Post Italia; Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale Rai; Duilio Giammaria, Tg1; Nino Rizzo Nervo, presidente CISSFAGR; Antonio Socci, direttore Scuola di Giornalismo Perugia. Riassumendo, ecco i temi che sono risultati dalla discussione.

La cronaca nera contraddistingue da altri fenomeni mediatici principalmente per la presenza di ingredienti come l’intrigo, il mistero, il dramma, la morbosità, le tante sfaccettature di storie amorose delle persone coinvolte nei casi; ognuno di questi ingredienti, esulando dalla pura e semplice notiziabilità, spesso contribuisce a serializzare la cronaca nera ed i delitti ad essa legati, innescando una morbosità mediatica di cui abbiamo spesso avuto negli anni casi emblematici: il delitto di Perugia (omicidio Meredith Kercher), di Cogne (Annamaria Franzoni), di Avetrana (omicidio Sarah Scazzi) o Brembate (omicidio Yara Gambirasio) ne sono solo alcuni esempi.

La presenza di figure archetipiche che eccedono il semplice intento di presentare dei fatti (pensiamo a descrizioni troppo dettagliate sul come si è svolto un omicidio; o l’esaltazione degli atteggiamenti che hanno condotto a determinate conseguenze) tendono a mercificare la cronaca nera, che da “dovere” del giornalismo si trasforma in strumento con cui la politica può raggiungere fini diversi da quelli di sua competenza. Emerge quindi la responsabilità del ruolo dei giornalisti. Essi sono la figura centrale del fatto di cronaca che, nel modo di presentare i fatti e comunicarli nel tempo, diventa mediatore dello spettatore con la realtà. Essendo la cronaca nera un dovere del giornalismo, al servizio della popolazione, non si ritiene pensabile il “non farla”. Si dovrebbe, invece, riflettere sul modo in cui le notizie debbano o possano essere lette, commentate, raccontate, interpretate e percepite; sarà necessario, cioè, riflettere su quale valore avrà la notizia fornita dalla cronaca nera, su quale valore tale informazione avrà per il pubblico. Se nella carta stampata o nella televisione la competenza e la sensibilità dei giornalisti era fattore essenziale per la creazione della buona informazione, oggi con il web – dove gli stessi potenti strumenti sono equamente disponibili ed accessibili – la competenza di questi importanti mediatori diventa cruciale.

Ci ha fatto piacere constatare che tanto gli ospiti del dibattito quanto i ragazzi della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia, autori del reportage presentato durante l’incontro, si sono dimostrati sensibili agli effetti prodotti dalla cronaca nera sulle vite dei cittadini. Con le sue dinamiche narrative, a partire dall’arrivo delle telecamere fino all’individuazione del colpevole, difatti, il processo mediatico non condiziona soltanto la quotidianità degli abitanti di un luogo (muovendo persino l’opinione pubblica – spesso oltreoceano, come è stato nel caso del caso Kercher) ma decreta anche una risposta psicologica così forte sulla vita delle persone da causare forti ripercussioni economiche per le attività commerciali locali.

Perché Investire nella Tua Formazione?

Investire nella tua formazione personale ha un prezzo, e no, non è quello dei materiali di studio. E’ il prezzo del tempo che impieghi per crescere, scoprire e approfondire nuovi concetti e idee; tempo che sottrai ad altre attività. Certo, valuta pro e contro, ma il prezzo che paghi per non esserti formato adeguatamente e in tempo per poter “spiccare il volo” potrebbe essere difficile pagarlo domani. Ecco allora che un percorso di formazione continuativo nel tempo è ciò che – rispetto ad altre tipologie di istruzione e formazione – possiamo permetterci tutti. E come funziona?

La formazione “continua”, utilissima e indispensabile che tu sia un professionista del tuo campo o un imprenditore, che tu sia un insegnante di geometria o di italiano, si chiama apprendimento continuo. In inglese esistono due paroline magiche: lifelong learning. Il lifelong learning non è nulla di strabiliante nella pratica, perché significa investire, poco a poco, giorno dopo giorno, anche un minimo di tempo per diventare più consapevoli della realtà che ci circonda e approfondire argomenti che ci stanno a cuore.

Impegnarsi, studiare, lavorare sodo nell’approfondimento di ciò che ti interessa è un passo fondamentale per produrre risultati FANTASTICI nel medio e lungo termine. Se ti impegni, dai una svolta alla tua vita pian piano, ma in maniera costante. E non sono io a dirvelo…

Steven Pressfield ne parla nel suo The War of Art

Eldon Taylor ne parla nel suo Programmazione Mentale

T. Harv Eker ripete spesso questo concetto ne I segreti della mente milionaria.

Formati su argomenti d’impatto nella tua vita; che generino impatto a breve, medio e lungo termine. Diventa un professionista migliore, aprendoti un mondo e restando sempre aggiornato su trend caldi nel tuo settore.

Posso darti qualche idea?

  • Impegnati a conoscere quotidianamente nuove cose riguardo ai tuoi talenti e ciò che più ti appassiona!

  • Approfondisci gli argomenti che ti interessano, riservando un (anche piccolo) spazio a te stesso e alla tua persona, ogni singolo giorno; in un anno avrai – come minimo – 365 occasioni per conoscerti meglio e saper trarre il meglio dalla tua persona;

  • Investi nella Tua formazione: leggi un libro al mese su un argomento che ti interessa professionalmente o personalmente; frequenta seminari, conosci e frequenta nuove persone che condividono i tuoi interessi!

    E se ti piacerebbe approfondire il discorso ma non sai come orientarti, sappi che ho trattato di questo e molti altri argomenti nel testo Produttività Digitale. E’ una guida introduttiva al mio mondo, alle mie consulenze e una densa dispensa per tutti i miei corsisti. Se vuoi dargli un’occhiata, o contattarmi, sono a Tua disposizione, anche telefonicamente al (+39)3475186624!

Creativi! Ecco ciò che l’editing vi insegna!

Tutto può insegnarci qualcosa.

Attività apparentemente poco importanti a livello esistenziale possono rivelarsi fonti da cui ricavare grandi insegnamenti: esempio di questo sono l’Editing o la riscrittura degli articoli da noi stessi pubblicati in passato. Tempo fa ho deciso di correggere e riscrivere i post che avevo inizialmente pubblicato nel mio vecchio blog, Ubuntulook, che ora se ne sta lì, sottoforma di archivio digitale dei miei scritti in lingua inglese su produttività, minimalismo e vita digitale semplice.

Cosa l’Editing mi ha insegnato
Credo sia essenziale per un artista creare nuovo contenuto, rinnovarsi ed evolvere il proprio stile espressivo.
Ognuno di noi può etichettarsi come blogger, utente, amministratore di un sito web, programmatore, ma in realtà, se creiamo contenuti personali, siamo artisti. Ogni volta che creiamo nuovo materiale (un nuovo layout grafico, una nuova applicazione, un articolo, un post, ecc) sappiamo di aver creato qualcosa che farà parte di tutto ciò che avremo pubblicato nella rete. Per questo, creare ordine tra i vecchi contenuti da noi creati è importante: (come già ricordato nell’ultima serie di articoli sull’identità digitale) i vecchi contenuti dovrebbero essere resi disponibili sotto nuova forma, attraverso la riscrittura, parziale o completa. Riscrivere contenuti già proposti significa dare a tali messaggi nuova carica emotiva e nuova utilità per gli altri, facilitandone la consultazione.

Se ci rifletti, ciò che è stato scritto mesi o anni fa se ne sta lì, ad occupare spazio fisico o digitale. Per questo, definirei quasi terapeutico rinnovare il proprio materiale (articoli, contenuti, ecc) così da evitare la stagnazione creativa e tante resistenze che via via possono emergere quando cerchiamo nelle idee del passato le risposte per il futuro.

L’editing mi ha insegnato che vivere nel presente (e torniamo sempre lì!) è importante quanto avere l’abitudine, da coltivare giorno dopo giorno, di mettere da parte il materiale vecchio per crearne di nuovo. Questo permette di rinnovarci, crescere riproponendoci in forma più chiara e semplificata.

Esempio pratico: possiamo fare questo eliminando il 70% dei contenuti di un articolo che non consideriamo più utile, lasciando trasparire solo il messaggio principale relativo a quel 30% di contenuto rimanente. Scopriremo che forse con una semplice frase abbiamo potuto riassumere un intero articolo!

Come già ho ricordato nell’ultima serie d’articoli sulla cura dell’identità digitale, è molto importante effettuare di tanto in tanto questa “pulizia” creativa, così da tenere in ordine facilmente tutte le nostre creazione e la nostra vita online. Tutto dipende dalla nostra necessità.

La Produttività: Online (Digitale) e Offline (Reale)

Dopo quello che si è detto nelle settimane passate credo sia utile distinguere 2 tipi di produttività, di cui abbiamo più o meno direttamente parlato: produttività online (digitale) e offline (reale). Con il post di questa settimana entriamo un pò nel dettaglio per spiegare meglio queste due versione dello stesso concetto. Questa suddivisione è dinamica e, con il tempo, sono sicuro potrà essere ampliata nelle sue varie sfaccettature. Per ora, ecco le idee principali, esposte schematicamente qui sotto.

Essere produttivi Online significa far funzionare al meglio nella nostra vita automazione e realtà virtuale, così da creare spazio per ciò che è importante nella vita digitale (creazione di contenuto, connetterci con gli altri, condividere informazione utile a tutti, mantenere la nostra inbox mail e i nostri file in ordine. Esempi di attività legate alla produttività digitale sono:

  • •.eliminazione di files,   

  • •.editing dei contenuti già pubblicati in rete,  

  • •.editing dell’interfaccia grafica dell’utente  

le attività sopraelencate migliorano il nostro rapporto con la tecnologia: tutto dipende da come vogliamo che il nostro computer funzioni per noi. Quando riusciamo a farlo funzionare secondo quelli che sono i nostri bisogni, solo allora sapremo di essere produttivi.

Essere produttivi Offline significa semplificare la nostra vita fisica, quella nel “mondo” che comunemente si dice “reale”, “fisico”, per ricavare spazio e tempo per ciò che veramente conta per noi (rapporti con gli altri, studio, esercizio fisico, meditazione, suonare, creare, scrivere, cucinare,…). Esempi di attività legate alla produttività nella vita reale sono:

  • •.riutilizzare vecchi oggetti, creativamente (incluso anche l’hardware di un vecchio computer, magari)  

  • •.mettere in ordine il workspace e la propria scrivania  

  • •.mettere in ordine la propria collezione di libri  

  • •.mettere in ordine una stanza della propria casa  

  • •.ridurre quanto possibile le distrazioni  

  • •.possedere meno oggetti  

  • •.semplificare la vita in generale  

  • •.frugalità nel lifestyle  

  • •.riciclare